venerdì 1 novembre 2013

Fermo per manutenzione

Breve annuncio: ho cambiato nome al blog (di nuovo). In fin dei conti non sono più in Francia da un po', l'"anno nuovo – vita nuova” è quasi finito e quindi insomma, è anche ora.
Ho sempre avuto un rapporto difficile e conflittuale con il dover dare un titolo a qualcosa, dai temi scolastici agli articoli scritti nella mia breve carriera da giornalista d'assalto, figuriamoci dover racchiudere in pochi caratteri tutto il caos che c'è qua dentro.
Citazioni famose? Qualche parola di una delle mie canzoni preferite? Un insieme casuale di lettere e numeri? In italiano comprensibile ai più o in inglese perché è più figo?
E che fare se la grande idea è già stata utilizzata?

Considerando gli ultimi avvenimenti, i cambiamenti più o meno radicali, le scelte fatte, i fallimenti e i nuovi cambi di rotta, sento molto mia questa frase:
 [Già citata anche in questo post]

Positività apppalla insomma. It's the only way.
Ma ci sta: il mio grande piano di fuga dall'Italia (che prendeva forma più o meno un anno fa in questo periodo) non ha funzionato. Ora vediamo cosa hanno in serbo per me le altre 25 lettere.

Detto questo:
No, non il blog. Quello funziona benissimo, anche se non scrivo da un mese e mezzo. 
Io sono ferma per manutenzione. Dopo essermi frantumata un ginocchio cadendo con lo scooter appena comprato dopo un incontro ravvicinato con il bauletto di un altro motorino. Molto bene.
E così, poco più di un mese fa ho scoperto l'esistenza di un osso chiamato piatto tibiale, e di quanto sia frequente romperselo cadendo in moto o sciando.
Ah, e anche di quanto sia complicato rimettersi in piedi poi.

“Incidente col motorino ma sto bene, tranquilli! Al massimo una botta, non penso di essermi rotta nulla” - questo il messaggio mandato agli amici subito dopo.
Non penso di essermi rotta nulla. Devo decisamente rivedere le mie conoscenze ortopediche. Infatti la lastra non ha fatto che confermare lo sfigatissimo destino a cui stavo andando incontro: intervento e ricovero, 30 giorni di riposo con tutore rigido (solo per iniziare), stampelle, indefinitonumero di settimane senza poter fare praticamente nulla.
Mooolto bene.

Quale sia esattamente il piatto tibiale, o dove mi siano stati impiantati i componenti del mio bellissimo nuovo e portentoso ginocchio bionico, non è dato sapere. Sembra quasi che i medici custodiscano chissà quale segreto e non vogliono sbilanciarsi troppo in spiegazioni. Grazie, bravi! Così uno appena entra in possesso di un pc e di una connessione si butta su google alla ricerca di risposte.
Grosso errore.
In ospedale poi ho scoperto una varietà incredibile di casi umani: da quello che minacciava il suicidio se non l'avessero lasciato fumare alla vecchiotta new age con entrambe le gambe rotte che rifiutava i farmaci. Solo per fare qualche esempio.
Tornata a casa invece ho scoperto quanto diventino difficili anche le più piccole cose quando si è obbligati a spostarsi con le stampelle e una gamba rigida: spostare oggetti, vestirsi, sedersi sul gabinetto, fare la scale (soprattutto se la camera al primo piano), dormire in salotto (non potendo salire le scale) con un gatto affamato e miagolante dalle 6 del mattino e componenti vari della famiglia che si svegliano – o vanno a dormire – agli orari più assurdi, lavarsi i capelli o rendersi presentabili, uscire dovendo selezionare accuratamente il locale in base ad accessibilità, presenza di gradini e caratteristiche delle sedie, e – citando mio fratello – dovendo essere caricata in macchina “come un mobile Ikea”. E così via. Il fisioterapista in ospedale insegna i “passi base”, ad alzarsi dal letto, raggiungere il bagno e sedersi a tavola, ma tutto il resto è rallentato o complicato, e nemmeno Santo Google è troppo d'aiuto in questo caso: ci vorrebbero dei siti specializzati in “stampelle: istruzioni per l'uso” con video tutorial su come sopravvivere con sti trampoli.
E arriva, inevitabile, l'insofferenza. La noia. Il fastidio.
Peggio del dolore fisico (pressoché inesistente fortunatamente) c'è quello stato di irritazione e nervosismo causato dall'essere bloccati sul divano quando fuori c'è il sole (soprattutto quando, per la prima volta da anni, l'estate prosegue anche per tutto settembre regalando bellissime giornate calde). E dal dover dipendere sempre da qualcuno anche per la più piccola cosa. E dall'invecchiare precocemente ritrovandosi a far la maglia per passare il tempo.

L'unica soluzione possibile è rimanere positivi

e, soprattutto, smetterla di fare acquisti online. 
Amazon è il male assoluto e il corriere ormai è mio amico.

Ci tengo comunque a ringraziare anche qui tutte quelle persone che negli ultimi oltre 40 giorni hanno contribuito a rendere meno pesante la mia permanenza obbligata prima in ospedale e poi nel salotto di casa.
E in particolare per... le risate e il supporto nei momenti più difficili, la musica con cui addormentarmi, i cioccolatini, i fiori, le chiacchiere e i film, il gelato di straforo, le cene e la grande organizzazione per portarmi al cinema, i pomeriggi di sole in stile badante-nonna, il countdown, i soprannomi e la stampellata finale nel corridoio dell'ospedale accompagnata da Galeazzi e dalla colonna sonora di “Momenti di gloria”.


lunedì 16 settembre 2013

Wake me up when September ends

Settembre è un mese difficile. Finisce l’estate, e anche se fuori fa ancora relativamente caldo il meteo troppo spesso preannuncia scenari apocalittici di vento e pioggia che non invogliano ad andare al mare; e poi fa troppo freddo per fare le ore piccole nei locali estivi all’aperto senza pagarne le conseguenze il giorno dopo con mal di testa e abbassamenti di voce [anche se quello forse non dipende tanto da settembre, quanto dalla nostra età non-più-tanto-gggiovane]. Finiscono le ferie, si torna a lavorare (chi lavora), ricominciano le scuole (il che coincide con orde di insopportabili ragazzetti con enormi zaini che si aggirano ovunque), ricominciano inutili programmi in televisione [ma ricominciano anche i millemila telefilm in diretta dagli States!], finiscono i saldi e le vetrine pullulano di maglioni sciarpe e cappotti. Tra pochissimo poi i negozi saranno pieni di decorazioni natalizie e le strade saranno popolate da persone che diranno cose tipo “sembra ieri che giravamo in costume, ormai è già Natale!”.
Meglio non pensarci.

Per me settembre poi ha coinciso con la fine del mio lavoro estivo da gelataia, e di conseguenza con il ritorno allo status di disoccupata. Molto bene. Si ricomincia con l’invio massivo di cv, colloqui e secondi colloqui dove sembra che il posto sia ormai assicurato ma poi “grazie eh, sei perfetta ma prendiamo qualcun altro”.
E per il secondo anno consecutivo poi, settembre per me ha coinciso con una serie di tagli – di capelli, di persone. Si dice che se una donna si taglia i capelli è perché vuole cambiare qualcosa della propria vita. Odio le frasi fatte (noncisonopiùlemezzestagioni, ahigiovanidoggi, sistavameglioquandosistavapeggio, ègiàNatale), ma non posso negare un certo fondo di verità almeno in questa.

Comunque, questo è l’ennesimo post assolutamente inutile che pubblico, ma mi andava di scrivere e se siete capitati qua ve lo siete cuccato.
E quindi beccatevi anche questa lista di #cosedicuinonimportanullaanessuno:

- gli umarells sono in grado di ballare davvero qualsiasi cosa con i passi dell’alligalli. Nei due mesi passati a lavorare accanto a una allegrissima balera, li ho visti fare gli stessi identici movimenti (sempre con ritmo e stile, obviously) su un improbabile remix di canzoni degli 883, con dei balli latinoamericani e addirittura con il gangam style!
- da giorni continuo a sentir parlare di o a vedere post sul Winner Taco: mi aggrego alla folla per chiedere che ritorni in produzione, lo adoravo!

- prima del caffè io al mattino non esisto: quella che si aggira per casa ha le mie sembianze, ma penso si tratti di un ologramma.
- se dici al parrucchiere di tagliare, lui taglierà. Tanto.
- il cannolo siciliano prima di andare a dormire mi fa venire gli incubi, dovrei ricordarmene la prossima volta che passerò alla Festa dell’Unità e vorrò prenderne uno (ma tanto poi lo prenderò lo stesso)
- se arrivi in ritardo a un concerto, poi non puoi scartavetrare le palle a tutti quelli vicino a te mentre urli cercando di convincere il cantante a cantare una canzone che ha già cantato
- i GemBoy ci piacevano di più prima che Colorado Cafè li commercializzasse così tanto
- se le donne stanno sedute un po’ in punta sullo scooter non è sempre per far le fighette altezzose, come invece sostengono gli amici motociclisti: nel mio caso è perché se sto troppo indietro sul sellino, poi non arrivo a toccare per terra quando devo fermarmi al semaforo (problemi da #diversamentealta)
- Paolo Fox SA

sabato 20 luglio 2013

Di whatsapp e altri social (ovvero: l’amore ai tempi di facebook)

L'idea per questo post mi è venuta dopo aver visto questa immagine qualche giorno fa:
Da quasidisoccupata/gelataia squattrinata è meglio se evito di partecipare a un giochino come questo: rischierei di perdere e mi toccherebbe offrire la cena ai presenti.
Non so voi.. ma io sì, lo ammetto, sono una di quelle persone che usano tantotantotantissimo facebook, whatsapp e social vari&eventuali [in fin dei conti, sto cercando anche di farne un lavoro: se non mi piacessero i social network sarebbe decisamente controproducente].

Il primo cellulare per me fu una conquista: all’epoca lo avevano quasi tutti i miei amici, ma io no. Papà non voleva, pensava non mi servisse (e aveva obiettivamente ragione - ma non diteglielo) ma io ero esclusa dallo scambio di sms tra amici ed era una cosa che mi infastidiva non poco.
Dal primo cellulare al mio ultimo smartphone il passo non è stato poi così breve in realtà, ma un bel giorno anche io ho abbandonato il mio super resistentissimo e indistruttibile Nokia (sì, quello comprato più che altro perché aveva Snake!) per passare a qualcosa di più tecnologico, da vera social addicted.
E via di app: twitter, facebook, instagram, whatsapp, quella per modificare le immagini, qualche giochino stupido, gli astri di Paolo Fox, la meravigliosissima frusta...
(se non avete presente cosa intendo, guardate l'uso che ne fa Sheldon. E se non sapete chi è Sheldon, shame on you!)

Bello eh, adesso possiamo raggiungere tutti i nostri amici in ogni momento del giorno o della notte, e abbiamo solo l’imbarazzo della scelta: il caro e vecchio sms? Una faccina su whatsapp? Una cazzata condivisa su facebook? C’è poi chi sceglie l’innovativo linkedin (probabilmente ha qualcosa da nascondere e sa che lì non corre pericoli) e chi lo smartphone non sa nemmeno cos’è e si affida alle tradizionalissime telefonate (non estinguetevi, vi prego!)
[un discorso diverso va fatto per Skype, che nei miei 5 mesi di isolamento francoangloamericano mi ha salvato in diverse occasioni permettendomi di rimanere in contatto – e fare ovviamente l’idiota via webcam – con friends&family]

Da brava laureata in comunicazione, con mille esami di sociologia sulle spalle (e un sacco di tempo libero, evidentemente) mi sono ritrovata a riflettere sulla qualità delle conversazioni via facebook o whatsapp, che il più delle volte muoiono così come sono iniziate: senza saluti, con una delle persone coinvolte che a un certo punto sparisce negli abissi della virtualità senza sentire più l’esigenza di rispondere, e basta. Finita lì.
Il fenomeno opposto è caratterizzato invece da conversazioni che durano giorni e giorni, in un loop senza fine, ricominciate a più riprese e un po’ a caso ogni qualvolta una delle persone coinvolte si connette. 
O si annoia.

È tutto più facile, adesso. Possiamo nasconderci dietro uno smile (whatsapp poi ci regala millemila faccette, animali, macchine, cibi, cose varie da inviare) per fare i simpatici e far vedere a qualcuno quanto siamo divertenti e spigliati. Salvo poi regalare pessime e imbarazzanti figure “dal vivo” (eh già!).
È tutto più facile….
O forse no?!
Quante volte siete rimasti delusi sentendo il telefono suonare, sperando fosse qualcuno in particolare e scoprendo di essere decisamente fuori strada?
Parliamo poi della geniale scelta di Mr.Facebook di introdurre nei messaggi il “visualizzato alle”, che ci ha tolto la possibilità di leggere e non rispondere, fingere di non aver ricevuto il messaggio, prenderci il tempo di pensare benebenebene a cosa rispondere, senza passare per scortesi o antipatici o maleducati o stronzi.
Già, perché adesso ci si aspetta che la persona interpellata risponda subito.
E quante volte avete controllato su whatsapp l’orario dell’ultimo accesso di qualcuno di cui aspettate una risposta? Su, ammettetelo. Io mi assumo le mie responsabilità, e ho un bell’elenco di amici che sa di cosa sto parlando (tranquilli, non farò nomi. Voi tanto lo sapete di chi sto parlando!)
E così, via a paranoiche esternazioni del tipo “L’ha visto e non mi risponde. Ecco, lo sapevo! Perché non mi risponde? Perché non mi scrive?”. E in un universo fatto di inutili e insignificanti “mi piace”, cerchiamo di attribuire un valore o un senso a quello di qualcuno per cui noi vorremmo che significasse qualcosa [rassegniamoci, di solito non è così!]

Da questo punto di vista, whatsapp e facebook hanno ribaltato alcune delle regole basilari del corteggiamento, rendendo sicuramente molto più facile iniziare delle conversazioni eliminando la paura di rimanere in silenzio attaccati alla cornetta del telefono senza sapere cosa dire. Ma allo stesso tempo tolgono la possibilità di conoscere qualcuno con calma. Una "rapida occhiata" al profilo facebook di chi ci interessa ci permette di sapere (quasi) tutto subito: i posti frequentati, la musica ascoltata, lo stato sentimentale e anche quello di salute, le usanze alimentari, gli spostamenti. Che non equivale sicuramente a conoscere qualcuno, ma ci fa partire con un background di inferenze che non sempre (anzi, quasi mai) corrispondono alla realtà.

Per toglierci ogni dubbio sul “l’ha visto e non mi risponde o non l’ha visto?”, i gestori di whatsapp hanno ritenuto necessario creare una pagina FAQ per spiegare il significato dei simbolini di fianco ai messaggi che inviamo e per i quali restiamo in trepidante attesa di una risposta.
Mi ha fatto un po’ ridere vedere come ultima motivazione possibile fornita “Forse ti hanno bloccato”.
Eh, forse sì. Fatti delle domande!
In certi casi sarebbe anche una scelta comprensibile e condivisibile.

Sia chiaro, questo non è un post di critica: io per prima faccio un uso smodato dei social network. Sono solo considerazioni (basate su fatti realmente accaduti, e non solo a me) di una nostalgica, che unmeglionondefinitonumero di estati fa, in vacanza al mare, si metteva in fila sotto il sole davanti alla cabina telefonica armata di scheda da 10mila lire (le lire, c’erano ancora le lire -.- ) per sentire il fidanzatino dell’epoca, chiamandolo a casa col rischio che a rispondere non fosse lui ma il padre, la madre, la nonna o il gatto.
E che adesso, se sa che deve stare fuori tuttoooo il giorno, infila in borsa anche il caricabatterie del cellulare, perché “mettichemiserveperun’emergenzaedèscarico?”.


lunedì 1 luglio 2013

Non importa se vai avanti piano..

..l'importante è che non ti fermi!


Ho letto questa citazione (Confucio docet) qualche giorno fa e mi sembra che caschi proprio a pennello.
Un anno fa, più o meno in questi stessi giorni, prendevo in mano la prima cialdina e la riempivo di gelato a spatolate. Un lavoretto estivo grazie al quale mi sono divertita, ho conosciuto gente, ho messo su un paio di chili e fatto arrivare alle stelle i miei livelli di colesterolo. Quest'estate ripeto l'esperienza: cialde e coppette, gelato e granite, spatole, vaschette di pistacchio da ripulire in compagnia a fine serata, strani umarells con strane storiecheavreipreferitononsapere.
D'altronde, laurea o non laurea, non posso certo star qui e aspettare che qualcuno mi prenda per un lavorovero, e mentre attendo news dall'ennesimo "Le faremo sapere" vado a lavorare per gente che almeno umanamente mi ha sempre trattata come una persona.

La sensazione che ho avuto la prima sera, dietro al banco dei gelati, è stata.. strana, diciamo così. Mi sembrava quasi di aver lavorato lì fino alla settimana prima, non che fosse già passato un anno. Non so se per la stessa atmosfera di festa (e che festa.... una piccola piccolissima festa dell'unità, che poi senza gioco dei tappi che festa dell'unità è?!) o se perché lavoro di nuovo più o meno con le stesse persone. Ma non so bene come interpretarla, questa cosa: negli ultimi mesi sono andata letteralmente dall'altra parte del mondo, per poi tornare e ritrovarmi praticamente al punto di partenza.
Ok ok, ho visto e fatto tante di quelle cose da essermi guadagnata un background di esperienze niente male, è vero e non lo posso negare. Ma sta di fatto che -un anno dopo- sono messa sempre più o meno uguale a prima.

Comunque, riprendendo Confucio e le perledisaggezza... vado piano, giro in tondo, ma intanto vado. Sul "dove" stia andando preferisco non esprimermi.

Pensieri sparsi e considerazioni:
- credevo davvero che, in media, i brasiliani fossero più alti
- crollano i miei grandi progetti estivi: altro che viaggetti, mare e weekend da amici vari; i pochi soldi che riuscirò a mettere da parte quest'estate li spenderò per  comprarmi (se ci riesco) un mezzodilocomozione di terza o quarta mano e probabilmente per un pc nuovo, visto che nel mio portatile il monitor ha deciso di divorziare dalla plastica di supporto
- fortunatamente, l'orribile moda di quest'anno fatta di colori fluo e maglie informi, mi impedirà di sperperare i miei pochi averi. Meglio comunque limitare i giri in centro con i saldi...
- adesso che sono tornata in Italia, dovrei forse cambiare il nome al blog. Si accettano suggerimenti!
- "un gelato al giorno toglie il medico di torno". O forse no?
- mai, mai, MAI, dare il vero numero di telefono ai sorridentissimi addetti delle palestre Virgin: mi stanno chiamando più spesso loro con offertebazzachenonpotrairifiutare [e che puntualmente rifiuto] di quanto farebbe un fidanzato geloso con manie di controllo.

martedì 18 giugno 2013

Andata e ritorno (e decluttering)

Sono tornata!
Ormai già da tre settimane in realtà, ma si sa, senza ispirazione non mi va di scrivere sul blog e quindi l'ho lasciato un po' perdere dopo la mia gitarella a Cannes e l'incontro con Sharon. E poi tra concerti, uscite, amici, sistemazione e colloqui ho avuto un bel po' da fare negli ultimi giorni. Ma insomma, rieccomi!

Non sto qui a spiegare quali sono le motivazioni e le scelte che mi hanno riportata a casa [a chi interessa le ho già più o meno dette, gli altri sono solo dei curiosoni!], fatto sta che sono tornata a Bologna, nella caldissima e umidissima Bologna, ho riabbracciato i miei amici e adesso sto cercando di mettere un po' di ordine nella mia vita.
A cominciare dalle piccole cose.
Già diversi mesi (forse addirittura anni) fa avevo sentito parlare di decluttering e downshifting: paroloni inglesi (si sa, i paroloni inglesi ci permettono di tirarcela sempre un po') con cui si indica un modo di vivere minimalista ed essenziale, l'arte di liberarsi di quello che non ci serve e, volendo, fare spazio al nuovo.
In parole povere: butta via tutta quella robaccia che non ti serve!
Allora, parliamoci chiaro. Chi mi conosce SA che accumulo. Accumulo tanta di quella roba che non uso, vestiti che non metto e ricordi che poi infilo in scatoloni che una casa intera non basterebbe. Mi sono accorta di quanto questo modo di fare mi pesasse quando ho cominciato la mia odissea dei mille traslochi in due anni. Scatoloni da spostare da una casa all'altra, su e giù per le scale, fuori e dentro dai mobili, continuando a pensare "ma chi me l'ha fatto fare?" e "ma a cosa mi servirà poi tutta sta roba?"

Il periodo passato in Francia da questo punto di vista mi ha dato lo scossone in più che cercavo. Là, con poche cose e pochi vestiti (si fa per dire, se ripenso alle dimensioni delle valigie usate per riportare tutto a casa) sono stata benissimo. E così, tornando a casa e chiedendomi come avrei fatto a rimettere tutta la mia roba in un'unica piccola stanza, ho pensato che potesse essere arrivato il momento giusto per liberarmi di un po' di cose inutili.
Voglia di cambiamento, insomma.

Ho iniziato svuotando tutti i mobili, comprando un barattolone di vernice per ridipingere le pareti e arruolando i miei fratelli per farmi aiutare (che va bene tutto, ma una mano in più fa sempre comodo!). Mi sono liberata di cose vecchie che nemmenomiricordavofosseroancoralì, vestiti mai messi o che nemmeno una dieta ferrea mi permetterebbe di indossare ancora, ho buttato via fotocopie e vecchi appunti dell'università (gettare anni e anni di studio nel bidone della carta aveva anche un nonsochè di metaforico, considerando quanto sia difficile trovare un lavoro).
Ok, nascosto in fondo all'armadio ho ancora uno scatolone di vecchi diari di cui non mi libererò mai, uno stock di inutili matitine Ikea e tante altre cose che, onestamente, lo so bene che non mi servono.
Ma so anche che faccio fatica a staccarmi da certe cose [e questo discorso potrebbe benissimo valere anche per le persone, ma questa è un'altra storia] e quindi insomma, già così è un discreto passo avanti.

E almeno, quando dovrò affrontare il milionesimo prossimo trasloco magari ci metterò un po' meno, va'.

mercoledì 22 maggio 2013

Stile da red carpet

In Costa Azzurra c'è sempre il sole! Così mi avevano detto prima che partissi e così dicono tutti i siti e blog più o meno turistici. Sarà... evidentemente sono stata sfortunata io, visto che da quando sono qui non ha fatto altro che piovere! (D'altronde, ha piovuto anche quando sono tornata in Italia a marzo, ha piovuto quando ero alle Hawaii, ha fatto due gocce anche il primo giorno a Disneyland, ha diluviato per giorni quando siamo tornati a maggio... comincio a pensare che sia colpa mia)
Tra l'altro, con tutta sta pioggia qui si sono moltiplicate le zanzare, si sono organizzate in squadroni della morte e sono pronte ad attaccare appena fai il minimo tentativo di mettere il naso fuori dalla porta.

Comunque, approfittando di un timido sole apparso nei giorni scorsi ho iniziato a organizzare la mia giornata a Nizza: armata di guida, elenco di cose da vedere e mini tour "Nice in one day", ero prontissima a prendermi il meglio di questa città sfruttando le pochissime ore a mia disposizione. Ma non avevo fatto i conti con la congiuntura astrale, evidentemente contro il mio segno. Mi sono dimenticata di ascoltare Paolo Fox ieri. Lui che SA, chissà se avrebbe previsto anche la serie di sfighe a cui sono andata incontro.
[in compenso, in quello di oggi sottolinea che ho la luna opposta, ma che a differenza di ieri, oggi la giornata inizia con auspici migliori. Quindi lo sapeva davvero!]

Se mai verrete in Costa Azzurra (e senza un'auto con cui girare per i mille paesini della zona) sappiate che i bus costano pochissimo (con 1,50 € arrivi più o meno dappertutto) ma ne passano pochi. Pochi davvero. Mi spiego meglio: il servizio urbano all'interno delle varie città funziona alla grande, ma se dovete spostarvi (come me) da un micro paesino di provincia ad una delle città un po' più grandi organizzatevi bene o rischiate di aspettare ore alla fermata del bus.
Se superate questo primo ostacolo e arrivate alla gare routière di Grasse ad esempio, da cui partono poi i pullman per Nizza e Cannes, rischiate di trovare l'autostazione deserta, fatta eccezione per un mini bus e qualche disperato seduto per terra in attesa di autobus che, a quanto pare, non arriveranno mai. Un foglio A4 appeso a una porta di uno stabile in disuso (al momento stanno lavorando per spostare l'autostazione vicina alla stazione dei treni, che non è proprio una mossa stupida) dice qualcosa tipo "Lo sciopero di mercoledì 15 maggio potrebbe avere ripercussioni anche nei giorni seguenti" e sotto un elenco delle linee coinvolte per le quali non sono garantite corse (cioè tutte quelle che potevano fare un po' comodo a me, ovviamente).
Anyway... "ripercussioni anche nei giorni seguenti". Qua si parla di una settimana dopo.
Al primo che sentite lamentarsi dello sciopero dei bus in Italia (durante il quale sono comunque garantite la maggior parte delle corse) raccontate questa storia.

Magari vi starete chiedendo (o magari anche no) perché non ho preso il treno per arrivare a Nizza, decisamente più costoso ma sicuramente più comodo. Dicendo "decisamente più costoso" ho in parte risposto alla domanda [sono pur sempre una disoccupata squattrinata, e quando posso vado al risparmio]. Ma il problema principale in realtà è che le piogge di marzo hanno causato una frana che ha interrotto il collegamento ferroviario Grasse-Cannes [non esagero mica quando dico che piove sempre!]. Quindi, per arrivare a Nizza avrei dovuto prendere un bus dall'autostazione alla stazione, un pullman dalla stazione di Grasse a Cannes e un treno da Cannes a Nizza. Tempo di percorrenza: circa 3 ore. Comodo no?

Alla fine ho optato per un giretto nella più vicina Cannes, che ok.. non era comodissima da raggiungere lo stesso (bus+pullman all'andata, pullman+bus+bus al ritorno), ma col Festival in corso sai mai che incontro davvero qualche star e pongo fine ai miei problemi economici?
Intanto, devo ammettere che rispetto alla prima volta che ho visto Cannes (non mi era piaciuta granché) mi sono dovuta ricredere: oltre alle zone super super chic (lungomare e Rue d'Antibes in particolare) che pullulano di negozi inavvicinabili, ho gironzolato per Rue Meynadier, strada molto più turistica (se volete comprare i classici souvenir, andate lì) e alla portata, con bellissimi negozietti d'artigianato ce n'è uno con saponette e docciaschiuma a forma di bottiglie d'olio, pezzi di formaggio e macarons, bellissimo!) e prodotti locali.
Mi sono anche arrampicata su per la salita (a saperlo, avrei fatto acquisti dopo) che porta all'Eglise Notre-Dame d'Espérance e al quartiere più vecchio di Cannes, con bellissimi vicoli, scalinate e viste spettacolari della città dall'alto.



Ovviamente, nei giorni del Festival non poteva mancare un giro sulla Croisette. La prima cosa che si nota è l'assoluta mancanza di buon senso nell'abbigliamento della gente: ho visto cose...che a raccontarle non mi credereste! Ragazze addobbate e truccate in modo assurdo, che quando le vedi speri almeno che stiano per partecipare a un qualche servizio fotografico che giustifichi, almeno in parte, la scelta di conciarsi in quel modo (ma non sono sicura che fossero tutte modelle). E poi, dopo un po' che passeggi tra tutta sta gente fighettissima (chi mi conosce sa che io sono tutt'altro che stilosa), ti accorgi che per uniformarti anche tu ti stai un po' atteggiando, camminando con passo deciso, mento in alto, vento tra i capelli... Smettiamo subito!


Verso l'ora di pranzo mi sono fatta un giretto al porto: navi enormi e tirate a lucido, con lo zerbino per pulirsi i piedi prima di salirci e uno squadrone di camerieri e bodyguard all'opera. Mi sono fermata davanti a una bella nave viola, incuriosita più che altro dalla folla armata di macchine fotografiche e telecamere appostata lì davanti. Evidentemente, stavano aspettando una qualche celebrità, ma il bello è che nessuno sapeva chi. Nessuno. Tranne l'autista di un macchinone parcheggiato lì accanto, che tanto non poteva dirlo (e sembrava anche divertirsi un bel po'). Quindi poteva davvero esserci chiunque su quella nave. E mentre tutti stavano con gli occhi puntati alla nave, a osservare le mosse di bodyguard e assistenti vari [si sentivano frasi tipo "Guarda, stanno portando fuori una borsa!"] lei è arrivata in macchina dalla strada, fregando tutti. E con lei intendo Sharon Stone (che lì per lì, lo ammetto, non avevo nemmeno riconosciuto).
E io che speravo di incontrare Di Caprio... che me ne fo' di Sharon? Al massimo posso chiederle di insegnarmi ad accavallare le gambe in modo sexy, ma non so fino a che punto possa servirmi.


Anyway... manca una settimana al grande ritorno e ora si tratta di capire come infilare tutto in valigia. Tutto: guardaroba autunno/inverno/primavera/unpo'd'estate, i mille libri che mi sono portata dietro convinta di leggere chissà quanto, tutte quelle cose che ho preso da Bologna perchè nonsisamai e che, indovinate un po'?, non ho mai usato, gli acquisti, i regali, altri acquisti.
Mi rendo anche conto che quello delle valigie comincia a diventare un tema ricorrente nei mie post, come se non facessi altro che impacchettare la mia roba e portarla in giro.
Il che, pensandoci bene, non è poi così lontano dalla realtà.

[Ah, ecco la vignetta di Snoopy di cui parlavo qui]

giovedì 16 maggio 2013

Stay cool

C'è una frase [ora non ricordo se è una striscia con Snoopy, o una di quelle citazioni attribuite a personaggi più o meno reali che girano su facebook] che dice qualcosa tipo "se ti fai la stessa domanda alle 3 di notte o il mattino dopo, avrai due risposte diverse".
Penso che lo stesso valga se sei ubriaco (io sono astemia, ma sappiamo tutti che effetto può avere l'alcol sul potere decisionale delle persone). O se stai sorvolando da sola l'oceano con un lunghissimo volo intercontinentale, durante il quale hai tantissimo tempo per pensare, soprattutto se i tuoi compagni di viaggio ti rendono difficilissimo addormentarti per più di venti minuti consecutivi [a questo proposito, ci tengo a ringraziare in particolare la ragazza che doveva andare in bagno proprio quando io ero appena riuscita a chiudere gli occhi, e la signora dietro di me che ogni volta che doveva alzarsi per fare pipì - spesso, molto molto spesso - si aggrappava allo schienale del mio sedile scuotendolo come se fossimo in preda a chissà quale turbolenza].

Pensieri e domande, dicevo. Quel che è certo è che se la risposta che uno si dà è sempre la stessa, sia che siano le 3 del mattino o le 2 del pomeriggio, sia che si stia sorvolando una nuvola o che i piedi siano ben saldi a terra, allora in teoria quella è la risposta giusta.
La pancia, lo stomaco, lo sanno sempre con un certo anticipo quello che è giusto.
Ok, forse giusto non è la parola adatta. Diciamo "quello che vogliamo", ecco (che poi sia giusto o meno lo scopriremo solo vivendo).

Tra le decisioni che ho preso/sto prendendo in questo periodo, la più grossa al momento riguarda la scelta di interrompere questa esperienza au pair. Ci pensavo già da un po', e probabilmente stare dall'altra parte del mondo con un altro fuso orario, così lontana da tutto e tutti, ha amplificato e accelerato quello che già sentivo di voler fare.
Non mi dilungherò troppo sulle motivazioni [se vi interessano davvero, sapete dove trovarmi], che potrei riassumere principalmente con: differenze di vedute, stile di vita moltotroppo lontano dal mio, bambini amichevolmente soprannominati piccolidemoni, Emily Gilmore (chi conosce la serie tv capirà sicuramente cosa intendo), loneliness, fastidi vari ed eventuali.

Ai più potrà sembrare una scelta assurda o poco comprensibile. La cornice della Costa Azzurra, le Hawaii, una grande casa, una vita abbastanza facile... Ma appunto, si tratta di cornice. Viverci è tutta un'altra cosa, trust me!
Quindi, come canta il buon Bublé (questa ce l'ho in testa da giorni): I'm coming back home...
Entro la fine del mese pesterò nuovamente (forse provvisoriamente, chi può dirlo!) la terra italiana.
Tra le prime cose che farò: abbracci, tanti tanti abbracci.
E poi devo andare a cambiare la pila al mio orologio,che ha deciso di fermarsi ieri alle 6 del mattino [e lo so che non vi interessa, ma se lo scrivo qui magari mi ricordo di farlo]. E voglio girare per Bologna, mi manca. Voglio dormire fino a tardi e passare una giornata intera in pigiama; e mangiare la Nutella direttamente dal barattolo. E non preoccuparmi se mi scappa qualche parolaccia [non che io sia una persona volgare, ma ogni tanto ci sta, di dirne qualcuna].
Alla fine mi accontento poi di piccole cose, no?

Nel frattempo cerco di prendere il meglio dagli ultimi giorni qua, ad esempio andando a Nizza: è assurdo che in 5 mesi - 4 considerando quello negli States - non ci sia ancora stata, se non per brevi passaggi all'aeroporto.
"Perché non vai a Cannes?" - mi è stato chiesto - "C'è anche il Festival in questi giorni! Magari incontri Di Caprio"
Magari. Già mi ci vedo a prenderlo allegramente sottobraccio, invitarlo a bere un caffè e convincerlo con tutto il mio charme a mollare la supermodella di turno con cui sta, sposare me e porre così fine ai miei problemi!


domenica 12 maggio 2013

A whole new world

E così, dopo un mese alle Hawaii mi sono fatta anche tre giorni a Disneyland Los Angeles!
Inizio dicendo: che F I G A T A!
Oltre ad essere catapultati nelle storie Disney, alloggiare in uno degli hotel del resort permette di staccarsi completamente dalla realtà. Ci si sente davvero circondati da una considerevole dose di allegria: stelle dappertutto, canzoni in filodiffusione che ti entrano in testa irrimediabilmente (la peggiore da questo punto di vista è It's A Small World. L'ho sentita la prima volta sei anni fa a Disneyland Paris ed è impossibile dimenticarla. Cliccate qui, se volete farvi un'idea). E ancora: mille negozi in cui perdersi (e in cui perdere tutti i soldi: fortunatamente avevo esaurito lo spazio in valigia e mi sono imposta di non comprare altri Stitch, considerando quanti ne ho a casa), ristoranti a tema per ogni gusto (cenare al Rainforest Cafè, circondati da gorilla, elefanti e libellule giganti, fa un certo effetto), deliziose bakery e bancarelle di ogni genere.

Non bastano tre giorni per vedere tutto (le file per certe attrazioni sono davvero troppo lunghe), ma rispetto al tour de force a cui costrinsi il mio ex ragazzo all'epoca (avevamo anche trovato un biglietto bazza per visitare tutti e due i parchi francesi in un solo giorno. Ed era la settimana di ferragosto) questa volta è stata una passeggiata!

La cosa più bella di Disneyland è la velocità con cui si passa da un mondo all'altro, dalle principesse a Darth Vader, dalle montagne russe alla giostra coi cavalli. Ed è così che ho iniziato aiutando Buzz Lightyear sparando raggi laser a destra e a manca, per poi ritrovarmi in una navicella guidata da C-3PO, e poco dopo a bordo di un sottomarino giallo in compagnia di Nemo e Dori ["zitto e nuota, nuota e nuota"], ho incontrato Jack Sparrow, pranzato con cibo messicano a New Orleans, mi sono arrampicata sugli alberi di Tarzan con la mia nuovissima tiara da principessa in testa... ed è stato impossibile non pensare ad Amy.


Ho vinto una gara sulla macchina di Cars (dopo essermi imbattuta in un guasto tecnico che ha stoppato l'attrazione per un'ora con noi in fila), ho rivissuto per tre volte la storia di Ariel, cantando "in fondo al maaar, in fondo al maaaar" mentre tutti gli altri cantavano deep in the sea, e ho riso da sola pensando alle aggiunte fatte da me e miglioreamica/roomie/colonna portante [dai, cacchio! Baciala!], ho fatto il giro della morte sulle montagne russe e poi ho pranzato con un simil-ragù bolognese e "volato" sopra la California, ho cercato la porta di Boo insieme a Mike e Sully (che ho intravisto, morbidosissimo), ho letto un libro nella biblioteca della Bestia e cantato per Ursula (che fortunatamente non ha voluto le nostre voci...posso capirla!). 
E poi ho cantato per tre giorni interi "A whole new world" (una delle poche che so anche in inglese)



ho preso un caffè (chiamiamolo così) in un bar a tema Mary Poppins, ho visitato la casa di Mickey Mouse (che continua a starmi parecchio antipatico) e assistito a un incredibile spettacolo di acqua, musica e colori.. e anche se non ho visto Stitch e non ho fatto in tempo ad abbracciare Sully, ho affrontato la Tower of Terror, accuratamente evitata a Parigi (ma se può farcela un bambino di 4 anni, posso farcela anche io!) e ho visto tre ragazzi aggiudicarsi i posti su una delle giostre giocando a Rock Paper Scissors Lizard Spock. Mitici!

Adesso non mi resta che riprendermi dal jet lag (il passaggio Hawaii-Los Angeles-Londra-Nizza mi ha destabilizzata non poco) e affrontare i prossimi giorni [seguirà post] con un bagaglio di ricordi incredibili e con la consapevolezza che (grazie Cla e C.S. Lewis) "There are far, far better things ahead than any we leave behind".

domenica 5 maggio 2013

Altro che Tom Cruise!

Scommetto che dal titolo adesso vi aspettate un post dedicato a qualche baldo giovane surfista locale più bello di Tom Cruise (che a me, tra l'altro, nemmeno piace!). E invece no, nessuna news rilevante da quel punto di vista (continuano ad approcciarmi solo ultra40enni).

Stasera (stamattina/oggi pomeriggio... col fuso non ho idea di che momento della giornata sia per voi che leggete) voglio parlarvi della mission impossible che mi trovo a dover affrontare in queste ore: RI-fare la valigia, dopo quattro settimane di Hawaii e shopping *comesenoncifosseundomani*
Nello specifico, in una valigia già abbastanza piena all'andata [come al solito ho usato sì e no un terzo delle cose inutili che mi ero portata, come ad esempio tutte quelle maglie questalaportoperchènonsisamai e un paio di scarpe in più perchèmettichepioveelemiesibagnano] ora devo far entrare il contenuto di questa shopper
(sì, ci vedete bene, è grande quasi quanto la metà del trolley)
e anche tre vestiti e due maglie. E non dimentichiamo la giacca di pelle (ok, non è enorme, ma..) che avevo all'andata (quando sono partita in Francia il tempo era decisamente inclemente) ma che non posso nemmeno immaginare di mettere lunedì viste le temperature considerevolmente più elevate qui e a Los Angeles (dove ci fermeremo qualche giorno prima di tornare definitivamente in Europa).

Riflettendo sulla partita a tetris che sto per iniziare, mi sono trovata a canticchiare nella mia testa la musichetta di Mission Impossible

e so che adesso la starete canticchiando anche voi, immaginandomi mentre mi presenterò all'aeroporto di Honolulu con addosso tre maglie, la giacca (lo so che in valigia non ci starà MAI), una valigia più pesante di me, il bagaglio a mano e una borsa con dentro tutto il possibile pensabile. Leggera, soprattutto.

Del resto, non sono nuova a scene del genere.
Come non ricordare la memorabile notte all'aeroporto Stansted di Londra, con la sottoscritta e le sue amiche Fra e Siza accampate in un angolo e impegnate nel disperato tentativo di non sforare col peso del bagaglio Ryanair (rischio corso quando alle 5 ha aperto Claire's e le nostre tre eroine, non soddisfatte della tre giorni di shopping londinese, si sono trovate a comprare ANCORA)! Bello poi presentarsi al check in con un'enorme felpa addosso e un'altra (quella che non ci stava nè nello zaino nè in valigia) legata in vita.
Metti che poi ci viene freddo sull'aereo?!

Ma anche la mia partenza a gennaio per la Francia non è stata da meno! In questo caso, un ringraziamento speciale va alla mia *best friend/roomie/colonna portante* per avermi prestato lo zaino più grande che io abbia mai visto (di quelli che se ti ribalti non ti rialzi più) e soprattutto per avermi aiutata a far entrare tutto questo:
qui:

Tra l'altro, ho ripescato queste due foto dalla mia pagina facebook e vorrei citare un paio di commenti che mi sono stati fatti in quell'occasione: "Per esperienza taglia sulle tshirt. Si finisce sempre per comprarne mille", seguito da un "Concordo, metti che poi ne compri qualcuna...".
"Qualcuna"
...ehm...

Se conoscete qualcuno che noleggia furgoni a buon prezzo fatemelo sapere, quando tornerò in Italia potrei averne bisogno!

venerdì 3 maggio 2013

Con un fiore in testa a festeggiare

"May Day is Lei Day in Hawaii"

Ho scoperto che il primo maggio qui alle Hawaii è "Lei Day", un evento annuale con cui si celebra uno dei simboli hawaiiani: il tradizionale Lei, la ghirlanda di fiori.
Fiori dappertutto, quindi. O almeno così mi aspettavo, immaginando coloratissime bancarelle ovunque... E invece ho scoperto che a Waikiki la festa era concentrata nel Queen Kapiolani Regional Park (un parco immenso, comunque), con un bel mercatino di artigianato locale (c'era davvero di tutto e per tutte le tasche, da gioielli elaboratissimi, costosissime ghirlande di fiori e vari oggetti in legno intagliato a mano, a pacchianissime mollette con fiori di plastica, magliette... e tanto, tantissimo cibo) e uno spettacolo dedicato alla Lei Queen 2013, con musica, fiori, esibizioni e hula dancers.





Girovagando in internet, ho letto che l'idea di istituire il Lei Day è stata partorita da un certo Don Blanding, poeta che all'epoca (correva l'anno 1927) scriveva per l'Honolulu Star Bulletin e che in un articolo deve aver buttato lì una frase del tipo "Ma perchè non ne facciamo una festa nazionale?". Al suo collega Grace Tower Warren è poi venuta in mente la frase "May Day is Lei Day", usata ancora oggi in tutti i siti e in tutti gli articoli dedicati a questa giornata [e io non potevo sicuramente essere da meno!]

D'obbligo quindi approfittare di questa giornata per agghindarsi con fiori e ghirlande (io mi sono accontentata di un fiore tra i capelli), assistere a qualche esibizione e pranzare nel parco all'ombra di un albero con un panino pieno di Kalua Pork (o con qualche altra specialità locale, un'area del parco era piena di stand di cibo profumatissimo - e non). Ho anche visto gente pranzare con un enorme Shave Ice (una granita, in pratica). Ma enorme, davvero! Quella tipica hawaiiana è color arcobaleno

 ..e a quanto pare piace anche a Obama

Tornando a fare le persone serie (solo per un attimo), mi sono un po' informata e ho scoperto che  regalare un lei ha un significato speciale: vale sia come saluto [tutti si aspettano di essere accolti all'aeroporto con una collana di fiori come segno di benvenuto], ma anche come segno dell'amore e del tempo dedicato alla creazione della ghirlanda (alcune sono davvero complicate) e quindi alla persona che la riceve. Regalare un (o una?) lei può significare amore, amicizia, affetto, auguri (di vario tipo: vengono infatti usate ad esempio per lauree, matrimoni, funerali e nascite), ma in ogni caso queste ghirlande di fiori sono messaggi di pace.
Peace & Love!
Tra l'altro, leggevo da qualche parte che per tradizione chi ne riceve una non dovrebbe togliersela finché chi gliel'ha regalata è nei paraggi (siete avvisati!).

Approfitto di questo post *semiserioculturale* per parlarvi anche del significato dell'Aloha.
Molto più di un semplice ciao, significa infatti affetto, amore, pace, compassione e misericordia.
Mi fido di quello che ho trovato online (mi sono letta un sacco di siti, spero di non dire qualche ca**ata adesso) per dirvi che il significato profondo di Aloha nel linguaggio hawaiiano è "la gioia di condividere (alo) l'energia vitale (ha)": vivere gioiosamente insieme, quindi, condividere la gioia di vivere, e ancora "Amare è essere felici insieme".

Toda joia, toda beleza!

Lo spirito Aloha (da queste parti si può trovare la scritta Live Aloha più o meno ovunque) si riferisce quindi sia all'ospitalità per cui sono famosi gli hawaiiani (le persone qui sono davvero gentilissime, disponibili e sorridenti), sia ad un modo di vivere e trattare gli altri (e prima ancora se stessi) con amore e rispetto.

Cito Pilahi Paki, leader spirituale hawaiiana e attivista per i diritti, che disse: "lo Spirito di Aloha è il coordinamento della mente e del cuore ed è dentro l'individuo - è qualcosa che ti guida fino a se stesso, è necessario pensare e dirigersi verso il bene per gli altri. Mi permetto di offrire una traduzione della parola Aloha: A ste per Akahai, gentilezza, esprime tenerezza; L sta per Lokahi, unità, esprime armonia; O sta per Olu'olu, che significa gradevole, esprime piacevolezza; H è l'acronimo di Ha'aha'a, ed esprime modestia, umiltà; A sta per Ahonui, ed esprime pazienza, perseveranza"

[di più sull'Aloha qui]

Tante belle parole insomma, per esprimere quello che si percepisce davvero quando si gira per le strade hawaiiane: tranquillità, persone gentili e (almeno all'apparenza) felici, ospitalità, kindness: in qualsiasi negozio in cui mi sia capitato di entrare in queste settimane [e credetemi, se vedeste quanta roba ho comprato capireste che i negozi in questione sono TANTI] l'accoglienza è sempre stata calorosa, ma mai invadente. A differenza dell'Italia, dove commesse e commessi il più delle volte ti guardano in cagnesco chiedendoti se hai bisogno di qualcosa, qui si viene accolti con un sorriso e un "How are you today?", seguito da un interesse (che sembra) sincero. Tante volte mi sono trovata a raccontare a perfetti estranei da dove vengo e come mai sono approdata su quest'isola, cos'ho visto e cosa potrei ancora vedere.

Non solo oceano, fiori e surf! Ricorderò le Hawaii per i sorrisi delle persone, per quelli che si sono offerti di aiutarmi e per tutti gli aloha ricevuti in queste settimane. E poi, come posso non amare un posto in cui l'arcobaleno è parte integrante delle targhe delle auto?!

Aloha! :)

venerdì 26 aprile 2013

Surfin' USA

Lo dicevano anche i Beach Boys:

If everybody had an ocean
Across the U.S.A.
Then everybody'd be surfin'
Like California


Si può andare alle Hawaii e non prendere almeno una lezione di surf?!
Certo che no!
Non avendo a disposizione amici surfisti, e non avendo addocchiato nemmeno un valido surfista da intortare in spiaggia per farmi insegnare, qualche giorno fa passeggiavo sul lungomare di Waikiki (dove si incontrano per lo più neosposini in viaggio di nozze e famiglie con bambini) e passando davanti ad un chiosco con scritto Surf Lessons mi sono detta: "Perchè no?!"
Senza pensarci troppo, ho lasciato a una simpatica signora (ammetto che per i primi 5 minuti ero convinta fosse un signore..) 40 dollari per una lezione di gruppo alle 2 del pomeriggio (alla fine ero l'unica, e così ho risparmiato 60 dollari e ho avuto una lezione privata) e nell'attesa mi sono concessa una super colazione da Starbucks, una nuotata e della buona musica sotto il sole (e poi all'ombra di una palma).

Prima di tutto, Don (il mio simpaticissimo - e ormai non più giovanissimo - surf teacher) mi ha insegnato a stare in piedi su una tavola grande almeno il doppio di me. Tempo 10 minuti ed eravamo già al largo ad aspettare le onde (uno special thanks a David per aver portato la mia pesantissima tavola in acqua).
"Today is a good day to surf!": il sole, l'acqua limpida e il vento infatti, a suo dire, mi hanno regalato una perfetta prima lezione, con delle great waves. Lucky me!


Non si può descrivere l'emozione che si prova la prima volta che si prende un'onda [e che non si cade!!!]. Dovevo avere chissà che espressione contenta e soddisfatta se due surfisti incrociati - e schivati, per puro caso - si sono messi a gioire con me!
Rimanere in piedi sulla tavola, il mare sotto di te, l'onda che ti spinge, Don che ti ricorda di non-guardare-giù-se-no-cadi, guardare giù (perché se qualcuno ti dice di non fare qualcosa finisci sempre per farla) e cadere, la tavola che sbatte pesantemente sul naso, rialzarsi e riprovarci, e riuscirci, avere ancora oggi - a distanza di giorni - diversi lividi e un taglio su un ginocchio per un incontro ravvicinato con una roccia, esultare alzando le braccia al cielo e gridando "yeah" ogni volta che non-ho-guardato-giù-e-non-sono-caduta. 


Ok, non posso sicuramente dire di avere imparato, ma ci ho provato: mi sono buttata, sono caduta, mi sono rialzata e ci ho provato ancora. Che è un po' quello che continuo a fare con la mia vita.

Finita la lezione, mi sono premiata con un enorme gelato in riva al mare, con un altro giro di shopping (come se mi servisse una scusa per comprarmi qualcosa) e con una cena da Egg's & Things, take away per non perdermi il tramonto (il primo alle Hawaii, visto che dalla parte dell'isola in cui sono io il sole sorge. E non ho ancora avuto le forze per svegliarmi all'alba). Per concludere in bellezza una giornata quasi perfetta, il cielo e le nuvole mi hanno regalato un bellissimo #sunset, mentre alle mie spalle, sul prato accanto alla spiaggia, iniziava uno spettacolo di hula.


Pensieri sparsi:
- non so se è la stagione o la nuvola personale che mi ha seguita dall'Italia in Costa Azzurra, e ora anche qui, ma ultimamente piove un po' troppo per i miei gusti
- quando non piove, il sole picchia parecchio: il bello è stato accorgermi di essermi ustionata naso e spalle nel camerino di un negozio, provandomi un vestito che poi non ho nemmeno comprato
- gli italiani sono davvero dappertutto, e anche i bolognesi. E io sono riuscita a farmi impezzare dall'unico altro bolognese nei paraggi durante il tramonto (tra l'altro, o era un ultra40enne o i suoi anni li portava malissimo; e considerando che struccata e con la faccia da mare io dimostro ancora meno anni di quelli che dimostro di solito - che sono comunque meno di quelli che ho - era anche un po' inquietante)
- negli ultimi giorni il cielo sopra Lanikai mi ha regalato un arcobaleno coloratissimo e una luminosissima luna piena
- mi è stato fatto notare che dovrei guardare a quest'esperienza come ad un lato positivo della crisi. In effetti, se avessi trovato un "lavoro vero" probabilmente non avrei mai fatto surf. E allora guardiamolo, questo lato positivo
- in posti come Starbucks, o dove comunque devono scrivere il tuo nome (ad esempio su un bicchiere) per individuare il tuo ordine, il mio nome getta tutti nel panico. L'ho visto scritto con la Z (Elizabetta) e con una sola T (Elisabeta). E c'è chi lo traduce direttamente, per comodità (e a me Elizabeth piace un sacco!)
- sulla spiaggia di Waikiki gira anche tantissima polizia, e ci sono tantissimi homeless
- esistono davvero ristoranti in cui ti fanno aspettare al bar con un cercapersone che vibra quando tocca a te
- se si pensa di prendere un autobus, è meglio ricordarsi di portarsi sempre dietro una felpa: gli autisti hawaiiani tendono ad esagerare con l'aria condizionata
- allo Starbucks di Waikiki (quello dove ho fatto colazione io, all'angolo tra Kapahulu Ave. e Kalakaua Ave.) si può trovare una delle opere del fotografo Clark Little: non vi dico nulla di più per non togliere la sorpresa a chi non lo conoscesse, ma ringrazio il mio amico Charles per la bella scoperta.

Aloha! 

giovedì 18 aprile 2013

Somewhere over the rainbow

Ho 28 anni, sono laureata da tre. E faccio la tata.
Ma sono alle Hawaii!
E nell'ottica del *guardiamo solo il lato positivo delle cose*, direi che fare colazione guardando l'oceano offre un gran bel punto di vista.

Ma analizziamo il tutto nel dettaglio:
  • Fatto n.1: "ho 28 anni"
    Ebbene sì, anche quest'anno mi è toccato compiere gli anni, Tra l'altro, considerando che oltreoceano il giorno del mio compleanno è arrivato 12 ore dopo, che gli amici hanno cominciato a farmi gli auguri con diverse ore di anticipo (ora italiana + caos da fuso) e che sto ancora mangiando fette della mia torta, posso dire che è stato il compleanno più lungo di sempre. Il fatto è che i trenta si avvicinano inesorabilmente...Non sono una di quelle persone fissate con l'età (e visto che sembro più giovane già adesso, potrò calarmi gli anni ancora per un bel po' di tempo). Non temo i capelli bianchi (finora ne ho trovato solo uno che saltuariamente ricompare per spaventarmi, prontamente eliminato) e il mio decadimento fisico è iniziato ormai da tempo, quindi non è che due anni faranno chissà che differenza. Però se mi fermo un attimo a pensare a cosa ho concluso finora, bè.. i trenta si fanno ancora più pesanti.
  • Fatto n.2: "sono laureata da tre anni".
    L'ho realizzato solo l'altra sera e non ho potuto fare a meno di pensare a quanto sono passati in fretta questi tre anni e a quante cose sono successe e quante ne sono cambiate. E a quanto poco mi sia servita finora la mia laurea.
  • Fatto n.3: "faccio la tata" (o nanny, che fa più figo).
    Diretta conseguenza della presunta inutilità della mia laurea e della difficoltà di trovare un lavoro decente. A pensarci bene infatti, i miei precedenti lavori mi sono serviti più che altro per conoscere delle splendide persone.
  • Fatto n.4: "sono alle Hawaii"
    Ecco, pensiamo a questo! La famiglia per cui faccio l'au pair mi ha portata in questo piccolo angolo di paradiso per un mese (!!!) e credo che potrei tranquillamente fermarmi qui per sempre. La gente è gentile e cordiale, sorridono sempre tutti (e ci credo!), faccio colazione guardando il mare e appena ho anche solo 10 minuti liberi posso scappare in spiaggia, guardare le onde, ascoltare musica, fare foto a ignari passanti e buttarmi in acqua (anche se giocare con le onde senza i tentativi di affogamento da parte dei miei fratelli non è ugualmente divertente).
Qualche foto, giusto per farvi un po' di invidia




(il fatto che il sole tramonti dall'altra parte dell'isola ha risparmiato ai miei amici un'infinita serei di foto taggate #sunset)


Qualche appunto random sul viaggio (cioè cose di cui non vi importa nulla, ma le scrivo lo stesso):

- per arrivare qui ci sono voluti quasi due giorni (con una sosta a Los Angeles) e qualcosa come sei caffè per sopravvivere alla sveglia delle 4 del mattino, al fuso e al jet leg, ma ne è valsa la pena. Decisamente!
- se hai i soldi, viaggi meglio. Ok, è un dato di fatto, un'ovvietà.. ma ho vissuto in prima persona la differenza che c'è tra il passare le tre ore di attesa tra un volo e l'altro nella saletta vip dell'aeroporto di Londra, piuttosto che sulle scomodissime sedie (che poi ti siedi solo se sei molto fortunato) che usano i comuni mortali. Un altro mondo!
- la British Airways ha una fantastica offerta di film da vedere durante il volo: ho finalmente visto Django (in lingua originale.. magari me lo rivedrò in italiano - o almeno con dei sottotitoli - giusto per capire tuttituttitutti i dialoghi) e Argo (molto molto bello).
- se non viaggi in prima classe, il cibo lascia comunque molto a desiderare: sandwich dal dubbio contenuto, spuntini discutibili e caffè annacquatissimo (anche se è comunque caffè, e quando sei sveglia da 20 ore va bene tutto). Certo che se per pranzo servi pollo al curry alla maggior parte dei passeggeri, è inutile stupirsi se poi l'aereo puzzerà di curry per tutta la durata del volo. 
- gli italiani sono davvero ovunque. E sono sempre i più rumorosi. Per tutta la durata delle 11 ore Londra-Los Angeles ho finto di non essere italiana per evitare di essere impezzata dall'irritante coppietta felice seduta accanto a me.
- visto che me l'avete chiesto in tanti: non mi hanno messo al collo nessuna collana di fiori quando sono scesa dall'aereo (se ne volete una, fate sì che all'aeroporto venga a prendervi qualcuno e che ve la porti, altrimenti fate come me e compratene una da poco, da riutilizzare per l'AlohaParty che organizzeremo non appena tornerò a Bologna!)
- a Honolulu c'è David&Goliath: dopo aver lasciato quasi uno stipendio nello stesso negozio a Londra, sono riuscita a spendere anche qui (dove è chiamato The Stupid Factory) una sproposita quantità di dollari in pochissimi minuti.
- la musica hawaiiana mette proprio allegria, e alla radio passano spessissimo una delle mie canzoni preferite, Somewhere over the rainbow. Ah, ho anche scoperto che l'hawaiiano si legge esattamente così com'è scritto, quindi ora so che tutti proverete e pronunciare nel modo giusto il nome del cantante: Israel Iz Kamakawiwo'ole.
- i pancake qui sono davvero ottimi!

Aloha!

martedì 2 aprile 2013

Keep calm and...

...go to Honolulu!
(e lo scrivo anche un pochino più grande, giusto per farvi un po' di invidia)
Ebbene sì, ormai manca meno di una settimana alla partenza per le Hawaii e io, cresciuta con i migliori cartoni Disney, non posso non pensare a Mago Merlino che, ormai sulla soglia della terza (o quarta?!) età e con una certa follia incalzante, molla tutto e se ne va a Honolulu, per poi fare ritorno con dei bellissimi bermuda gialli con le palme, le All Star rosse e i Ray Ban.
Piccolo appunto: ho appena scoperto che nella versione francese de La Spada nella Roccia, Merlino se ne va a Saint Tropez, e non alle Hawaii. C'è scritto sulla fidatissima wikipedia e se cercate su youtube "merlin saint trop" troverete il video che blogspot mi impedisce di caricare.
[nella versione originale invece il nostro amato mago scappa alle Bermuda]

Comunque, per evitare di rincorrere Mago Merlino in giro per il mondo, posso sempre fare affidamento sul mio amatissimo Stitch e imparare a ballare la hula..
Chissà se gonnellino di paglia e collana di fiori mi donano, quel che so è che dovrò infilarne in valigia una quantità probabilmente confiscabile alla dogana per poter accontentare tutti quelli che me ne hanno chiesta una originale.
Tra l'altro tutti [come se non ci avessi già pensato io poi!] mi stanno suggerendo di trovarmi un bel surfista e rimanere sull'isola. Non sarebbe mica male, potrei aprire una piadineria/gelateria/rivendita di pasta fresca, prendere lezioni di surf (gratis, visto che a quel punto starò con un surfista) e non dovermi più preoccupare di trovare lavoro in Italia.
Per quest'ultimo punto ho provato a contattare il Genio di Aladdin. Ecco la sua reazione:

Cartoni animati a parte (lo so, potrei continuare per ore), mi rendo conto che negli ultimi giorni sono sparita dal blog. Diciamo che il mio stato d'animo mi ha fatto un po' passare la voglia di scrivere, e che in fin dei conti c'era anche poi poco da dire Non entro nel dettaglio del perché mi sentissi così, ho già stressato abbastanza alcuni Amici con i miei dilemmi esistenziali e credo sia il caso di risparmiare tutti gli altri. Come in tutti gli aspetti della vita, anche qui non è tutto rose e fiori, e il mio essere terribilmente incostante e incoerente e incasinata mi fa sentire la necessità di cercare sempre qualcosa di più o di diverso.

Ma almeno oggi (con largo anticipo sì, ma nei prossimi giorni non avrò molto tempo libero) preparare la valigia mi ha caricata abbastanza per questa partenza e mi ha fatto entrare nel mood estate. Qua piove praticamente ininterrottamente da settimane (vorrei scambiare due paroline con chi ha messo in giro la voce che in Costa Azzurra c'è sempre il sole) e fa ancora un discreto freddo: un'accoppiata meteorologica che mi ha spinto a mettere in valigia ancora più volentieri bikini, vestitini, gonne e infradito.
Come al solito, ho sicuramente preso cose che non userò: "eh, ma se poi ti servono e non ce l'hai?". Potrei rispondere come hanno risposto a me oggi quando ho chiesto se dovevo infilare un paio di cose in valigia o no: "Puoi sempre comprare tutto là. Siamo in America!".
Ok. Ma visto che ancora non ho trovato il folletto che regala soldi, se posso evitare di spendere i miei pochi averi per cose che ho già e invece riempire la valigia al ritorno di inutili souvenir, collane di fiori, vestiti e chissàchealtro, non è meglio?

Valigia pronta, quindi.
O quasi.
Film vari e libri caricati sul tablet (per stavolta e solo per comodità abbandonerò la carta stampata in favore degli ebooks).
Musica per il viaggio: c'è (e posso solo immaginare l'effetto di certe canzoni mentre sarò sospesa sull'Oceano).
Ora non mi resta che sopravvivere al jet leg.

Stamattina, dopo essere andata a dormire per la seconda sera consecutiva alle undici e aver passato gli ultimi due giorni ad appisolarmi più o meno ovunque, mi sono chiesta come sopravviverò al cambio di fuso orario (ci sono giusto quelle 12 ore di differenza...) se è bastato spostare le lancette di un'ora per ridurmi così.
Senza considerare che il prossimo mercoledì divento anche più vecchia.

...Aloha!

domenica 24 marzo 2013

Cit.

Tra vent'anni non sarete delusi delle cose che avete fatto
ma da quelle che non avete fatto. 
Allora levate l'ancora, abbandonate i porti sicuri, catturate il vento nelle vostre vele. 
Esplorate. Sognate. Scoprite. 
- Mark Twain -

venerdì 22 marzo 2013

Pensieri sparsi

Sette giorni in Italia, due aerei, un treno, un imprecisato numero di autobus; un viaggio in macchina con un'amica, proprio come quando ci siamo conosciute; sei tra merende/gelati/caffè in compagnia ("Oh, il primo gelato dell'anno".."Ah no, è il secondo solo oggi"); riabbracciare la mia famiglia; tre pranzi fuori e un pranzo domenicale a casa, di quelli che arrivi alla fine e rimane giusto giusto lo spazio per il caffè (un altro, sì); taggarsi e commentarsi su facebook da una parte all'altra del tavolo; vedere San Luca e sentirsi a casa; pioggia, tantatroppapioggia; sei cene tra amici, di cui due internazionali cucinate da me con alcune delle ricette imparate qui, una a base di crescentine e una a base di pizza (visto che da quando son qui pizza e crescentine sono tra le cose che mi mancano di più); svariati dolci (ricordiamo "Ma in realtà ho lo stomaco chiuso"..stomaco che si è magicamente riaperto di fronte ad un'enorme fetta di torta); i portici di Bologna; il vintage (inteso sia come locale sia come rispolverare "Non ti passa più" degli 883); il concerto dei Modena City Ramblers; un incontro inaspettato; un pomeriggio tra zombie e aneddoti; qualche bella sorpresa; un libro nuovo che parla di cibo e musica, e considerando la settimana non c'è accoppiata migliore; mangiare come se non ci fosse un domani; almeno tre chili presi; sentirsi a casa anche se adesso lì ci vive qualcun'altro (perché "gli amici sono la famiglia che ti scegli"); capire che non importa da quanto tempo conosci qualcuno - che sia un anno o quindici - per volergli bene; sapere che se fossi arrivata a Milano e non a Venezia l'accoglienza (comprensiva di pappa e servizio taxi) sarebbe stata la stessa, perché "un amico lontano è a volte più vicino di uno a portata di mano"; immaginare scenari possibili per persone scomparse; ritrovarsi a fare gli stessi identici discorsi di fine dicembre; l'incoerenza come filosofia di vita; fare le ore piccole per più di due sere consecutive e non esserci assolutamente più abituata; qualche piccola delusione, aspettative da abbassare; parlare con qualcuno come se ci si conoscesse da una vita, quando sono solo pochi mesi; girare sempre con la macchina fotografica in borsa e ridursi a fare 5 foto, una più brutta dell'altra; chiedersi se sono ancora in grado di guidare con la frizione - e con le scarpe nuove; ridereridereridere tanto da avere le lacrime agli occhi; deliranti autoscatti con il rotolo dello scottex come treppiede precario; mille abbracci, ma non sono mai troppi; una colazione dove una torta porta il mio nome e sembra un annuncio erotico; la sensazione di non essere mai andata via; raccontare millemila volte le stesse storie; la stessa idiozia di tre mesi fa.

"Bisogna avere una casa per poter andare in giro per il mondo"